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Riarmo del Cile - Gennaro Carotenuto, febbraio 2006
Le armi del Sud America - Raul Zibechi, Guerre & Pace n.122, settembre 2005
CUBA - Quando i terroristi sono amici degli Stati Uniti
30.000 desaparecidos argentini
 

 

 

 

Riarmo del Cile

Mentre Rumsfeld si preoccupa per Morales e Chávez il riarmo cileno spaventa il continente Questa settimana porta notizie preoccupanti per la pace in America Latina. Il 31 gennaio sono stati consegnati all'aviazione cilena i primi due F16 della Lockheed Martin dell'ultima infornata di 10 aerei da combattimento nuovi comprati dal governo del quale Michelle Bachelet (nella foto mentre passeggia su di un sottomarino da guerra) è stata Ministro della Difesa.

di Gennaro Carotenuto, sabato 4 febbraio 2006

Nuovi armamenti per il Cile

Sono i più moderni aerei da combattimento in dotazione ad eserciti dell'America Latina e sono (ovviamente) stati posizionati nella base di Iquique, nel nord del paese, puntati contro il Perú e la Bolivia. Con i due micidiali aerei da guerra sarebbero stati consegnati 142 missili AMRAAN, missil AIM9 e bombe JDAM. Solo con questa commessa dell'aviazione il Cile governato dal centro-sinistra supera l'intero costo del programma di ammodernamento dell'esercito venezuelano contro il quale si sta opponendo il governo degli Stati Uniti, imponendo veti sia all'acquisto di aerei e navi spagnole, sia alla più modesta commessa brasiliana per aerei da addestramento.

Ma il riarmo cileno va ben oltre ed è incomparabile per entità e qualità. Agli F16 nuovi fiammanti si aggiunge l'imminente consegna di altri 18 aerei F16 dismessi dall'esercito olandese.

Anche per il rinnovamento dell'esercito il Cile non scherza. Lo scorso anno ha acquistato 100 carri armati Leopard II tedeschi. Secondo qualunque esperto militare contro i carri armati Leopard cileni i T-54/55 peruviani, gli SK 105 boliviani, i TAM argentini non avrebbero alcuna possibilità. I Leopard II seguono la recente acquisizione di 284 Leopard I, 64 carri armati francesi e 146 statunitensi. L'obbiettivo sarebbe rimpiazzare i tank di più vecchia concezione per arrivare rapidamente a disporre di almeno 300 Leopard II. Di fronte a questa vera e propria corsa all'armamento c'è stato nel novembre del 2005 il voto del parlamento svizzero per non rifornire più l'esercito cileno, ufficialmente perché "non redditizio". A quel punto l'esercito cileno si è rivolto a tedeschi ed olandesi. Sul mare nel 2005 sono giunte tre fregate Spruance armate con i famigerati missili Tomahawk. 2000 milioni per gli F16 nuovi, 450 milioni per 2 sottomarini, altri 1000 milioni stanziati da qui al 2010 per l'acquisto di elicotteri da guerra. Non c'è che dire, l'esercito cileno non si fa mancare proprio nulla.

Ma per combattere contro chi?

Fin dal 2001 il Consiglio nazionale d'informazione della Cia e il Centro di ricerche militari del Cile hanno identificato come «nuova sfida alla sicurezza interna» i movimenti indigeni in America Latina.

I movimenti indigeni sono "il nemico" per gli Stati Uniti e per il loro braccio armato cileno di questi. Già nel XIX secolo il Cile ha combattuto la "Guerra del Pacifico" per conto degli interessi britannici, ed ha condotto negli anni '70 la guerra alla "sovversione" chiamata Piano Condor con lo sterminio di centinaia di migliaia di oppositori politici in tutta la regione.

Negli ultimi anni, soprattutto nel periodo nel quale Michelle Bachelet è stata Ministra della Difesa, il suo omologo statunitense Donald Rumsfeld ha viaggiato molteplici volte a Santiago, non solo mostrando sintonia di vedute, ma favorendo il continuo riarmo della Prussia cilena.

Il continente latinoamericano, per fortuna, è quello con il PIL più basso destinato alla difesa, appena l'1.5% per cento in media. Molti eserciti, tra questi quello venezuelano, hanno armamenti risalenti agli anni '50 e '60. Fa eccezione proprio la Prussia cilena governata dal centrosinistra dell'ex-ministra della difesa Bachelet (ottima compratrice di sistemi d'arma carissimi e modernissimi) che spende oltre il 4.1% del PIL, quasi tutto negli Stati Uniti. Fin dall'epoca di Pinochet (e i governi democratici si sono ben guardati dal modificare questa prassi) il 10% delle entrate dovute alla vendita di rame sono destinate all'esercito per l'acquisto di nuovi armamenti.

Per capire l'entità del pericolo cileno basta citare un dato. Il Cile che non combatte ufficialmente una guerra da 130 anni, spende in difesa come detto il 4.1% del PIL. La Colombia, che da 40 anni combatte una guerra civile intestina spende "solo" il 3.6%. I paesi confinanti con il Cile si attestano sulle medie continentali, il Perù all'1,6% come la Bolivia, l'Argentina all'1,4%.

L'aggressività statunitense, con le nuove basi in Paraguay ed Ecuador e il Plan Colombia, ha costretto paesi come il Brasile e il Venezuela ad accelerare programmi di rinnovamento dei loro armamenti per la necessaria rielaborazioni di piani strategici difensivi integrati.

E' chiaro che in coincidenza al costante riarmo cileno, boliviani e peruviani non possono non riconsiderare i loro piani di difesa. Ma è del tutto chiaro che un'eventuale guerra tra il Cile e la Bolivia di Evo Morales avrebbe un esito del tutto scontato. Basta citare alcuni dati: la Bolivia ha la metà degli abitanti del Cile ed un PIL di un ottavo. D'accordo ai dati del 2002 le spese in armi della Bolivia sono in cifra assoluta pari a meno del 5% di quelle cilene. Non solo: l'esercito cileno può contare su 55.000 professionisti armati con la migliore e più moderna attrezzatura, quello boliviano su 20.000 soldati di leva (il "soldadito boliviano" della celeberrima canzone). La Bolivia dunque non può far paura al Cile, eppure il Cile continua ad armarsi e a puntare contro la Bolivia.

Per quanto riguarda l'export italiano nel 2003 questa ha esportato armi per 1282 milioni di Euro. I clienti latinoamericani catturano il 20% dell'export italiano. Appena 90 milioni importa l'enorme Brasile. Il piccolo Cile è al secondo posto con 74 milioni di Euro. In fondo alla classifica, con meno di 9 milioni, il Venezuela. In proporzione il Venezuela come importatore spende circa il 7% del Cile della Concertazione.

Di fronte a queste notizie il Ministro alla Difesa Donald Rumsfeld accusa il presidente bolivariano Hugo Chávez di essere un nuovo Hitler e si dice preoccupato da Evo Morales. Qualche giorno fa il neoconservatore Daniel Pipes aveva offeso la memoria di Salvador Allende, il buon senso e l'intelligenza paragonando anche lui ad Adolf Hitler. Dev'essere un vizio. Del resto è oramai quotidiano negli Stati Uniti il parlare di "asse del male latinoamericano".

Perù, Bolivia, Brasile, Venezuela: l'aggressività di Cile e Stati Uniti sta costringendo l'America, il continente con le più basse spese militari al mondo, a riconsiderarle ed aumentarle riarmando a sua volta. Se si riarmano gli Stati Uniti o il Cile nessuno protesta. Se sono costretti a farlo la Bolivia o il Venezuela lo strepito arriva alle stelle. Chi vuole giocare col fuoco in America Latina per provocare una guerra contro i governi progressisti?

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  Le armi del Sud America
Raul Zibechi, Guerre & Pace n.122

Pochi mesi orsono una commissione ufficiale di militari brasiliani ha visitato il Vietnam nell'ambito di "un interscambio sulle dottrine della resistenza". Il generale Figueiredo, capo del comando militare dell'Amazzonia, ha assicurato che in caso di un conflitto in Amazzonia, il Brasile si troverà ad affrontare situazioni simili a quelle del Vietnam, e dell'odierno Iraq. "La strategia della resistenza non differisce molto da quella della guerra di guerriglia ed è un'opzione che l'esercito non tralascerà di adottare in un confronto con un paese o con un gruppo di paesi con potenziale economico e bellico superiore a quelli del Brasile". Ha aggiunto che "si dovrà utilizzare la stessa selva tropicale come alleata per combattere l'invasione" (1). Lo scorso dicembre il Venezuela ha firmato accordi con la Russia, per l'acquisto di fucili, elicotteri e cacciabombardieri, con la Spagna, per materiale aeronautico e corvette, e con il Brasile, per aerei da combattimento e addestramento. Gli acquisti fanno parte del "costante rinnovamento delle forze armate venezuelane per il mantenimento del suo buon livello", come afferma il Bilancio militare dell'America del Sud, mentre il Dipartimento di stato Usa sostiene si tratti di un inizio di "corsa agli armamenti". Peter Gross, direttore della Cia, ha denunciato alla fine di febbraio davanti a una commissione del senato statunitense di avere "evidenze" di incontri tra le Farc e la rete di Bin Laden per coordinare attacchi terroristici nella regione.

AVANZA LA MILITARIZZAZIONE? Queste notizie possono dare l'impressione che in America latina la militarizzazione avanzi a passi da gigante. In realtà il Venezuela, malgrado i nuovi acquisti, è al sesto posto (dietro Brasile, Perù, Argentina, Cile e Colombia) nella classifica dei poteri militari sudamericani elaborata da Military power review nel 2004 e l'America latina resta una delle zone di minor tensione al mondo e che dedicano meno risorse alle spese militari (il 1,5% del Pil, contro il 4% dell'Unione europea, il 3% degli Stati uniti - il 47% delle spese miliari del pianeta - e il 12% del Medio Oriente). Malgrado ciò, e per quanto possa apparire contraddittorio, è possibile parlare di una crescente militarizzazione del continente e quattro sono le principali cause: il Plan Colombia come punto emergente della strategia regionale di Washington, che include la guerra al narcotraffico e alla guerriglia e il controllo della biodiversità della regione andina dal Venezuela alla Bolivia; le nuove forme che sta assumendo la guerra nell'epoca del neoliberismo (la privatizzazione della guerra); il nuovo ruolo del Brasile nel continente, unica nazione del Sud povero a possedere una autonoma strategia militare; infine - quarto fattore - l'intento di contenere la protesta sociale con la militarizzazione della società e la criminalizzazione dei movimenti sociali da parte di ciascuna classe dominante nazionale, con l'appoggio di Washington.
ANCORA IL VECCHIO MILITARISMO… Nell'intento di mantenere la supremazia mondiale la classe imprenditoriale statunitense cerca di controllare le nuove fonti del potere economico (biodiversità) e di non perdere il controllo sulle vecchie (idrocarburi). Assicurarsi il petrolio sudamericano implica un controllo territoriale intenso su aree ridotte nei luoghi di produzione, mentre sfruttare e monopolizzare la biodiversità - che permetterebbe alla superpotenza di affrontare le sfide provenienti dall'est (Cina, India e Giappone) - richiede la presenza su un vasto territorio, dall'Amazzonia al sud del Messico, la regione con la maggior biodiversità di tutto il pianeta. Per la realizzazione di questo obiettivo la Casa bianca sembra puntare principalmente sul Comando sud con base a Miami, chiaro esempio del grado di centralità raggiunto dalla dimensione militare nel riassetto mondiale post 11 settembre: quello che Loveman chiama "controllo a largo raggio delle minacce", che implica di considerare tutti i principali aspetti della società - salute, immigrazione, agricoltura, economia - come questioni di sicurezza. Secondo alcuni analisti il Comando sud si è trasformato nel principale interlocutore dei governi latinoamericani per la politica estera e della difesa statunitense nella regione: ci sono più impiegati che lavorano sull'America latina presso il Comando sud che nell'insieme dei dipartimenti di stato, Agricoltura, Commercio, Tesoro e Difesa.

UNA FORZA ARMATA UNICA? La presenza militare diretta nella regione è cresciuta e si è diversificata dal 1999 con lo smantellamento della base Howard a Panama. Il Comando sud ha adesso la responsabilità sulle basi di Guantanamo (Cuba), Fort Buchanan e Roosvelt Roads (Puerto Rico), Soto Cano (Honduras) e Comalapa (El Slavador); sulle nuove basi aeree di Manta (Ecuador), Reina Beatriz (Aruba) e Hato Rey (Curaçao); inoltre gestisce una rete di 17 guarnigioni radar terrestri: tre fisse in Perù e quattro in Colombia, le restanti mobili e segrete, nei paesi andini e nei Caraibi. La Colombia è il quarto destinatario al mondo di aiuti militari Usa, dopo Israele, Egitto e Iraq; l'ambasciata a Bogotà è seconda solo a quella irachena. C'è chi sostiene che Washington stia pianificando la creazione di una "forza armata unica" comandata dal Pentagono per affrontare le nuove sfide. Secondo questa interpretazione non è più sufficiente addestrare i militari nella Scuola delle Americhe, né creare gruppi di mercenari come la contras nicaraguense, ma è ormai necessario creare un dispositivo bellico continentale con comando unificato. Questo ambizioso progetto può essere interpretato come la versione militare dell'Alca, il "mercato unico" dall'Alaska alla Patagonia. La militarizzazione delle relazioni tra Stati uniti e America latina avrebbe inoltre come obiettivo di combattere le sfide presenti e future nella regione: alcuni settori conservatori statunitensi considerano che esista un "asse del male" regionale composto da Brasile, Venezuela e Cuba.

NUOVI CONTESTI Il progetto di forza armata unica era a uno stato piuttosto avanzato prima dell'11 settembre 2001: i cambiamenti mondiali, l'attenzione rivolta dagli Usa ad Afganistan e Iraq e la nuova situazione dell'America latina sembrano aver posticipato la sua realizzazione. Nell'agosto 2001 erano state realizzate le manovre "Cabañas 2001" nella provincia di Salta, nel Nord dell'Argentina [v. "G&p" …], la stessa provincia in cui si registravano i blocchi stradali più importanti del movimento piquetero che coinvolgevano per alcuni giorni oltre 200 effettivi di nove paesi (Argentina, Bolivia, Brasile, Cile, Ecuador, Paraguay, Perù, Stati uniti e Uruguay), totalmente finanziati da Washington, rancio compreso. Le truppe entravano nel paese senza l'autorizzazione del Congresso, come prevede la costituzione. Secondo la stampa le manovre avevano come obiettivo quello di "addestrare i militari latinoamericani per affrontare i disordini urbani". Le manovre diedero il via a un dibattito nazionale che portò alla luce che "gli Stati uniti pianificavano la realizzazione di tre basi in territorio argentino (Antartide nel sud, Delta al centro e Salta a nord)", che sullo strategico Rio Paranà avrebbe potuto essere operativo un contingente militare permanente e che il governo di Fernando de la Rua stava negoziando l'annullamento del debito del paese in cambio di basi militari. Nella stessa epoca gli Usa negoziavano con il Brasile per la cessione della base di Alcàntara, in piena Amazzonia. I cambiamenti politici avvenuti in questi anni in Argentina, Brasile, Bolivia e Venezuela hanno parzialmente frustrato questi piani.

LA PRIVATIZZAZIONE DELLA GUERRA L'evoluzione della guerra segue in certo modo quella dell'industria. Negli anni Sessanta la produzione industriale a catena entrò in crisi quando i lavoratori si ribellarono contro l'alienazione del lavoro ripetitivo e contro l'eccessivo controllo dei capisquadra e delle gerarchie. Gli imprenditori sono riusciti a recuperare l'iniziativa in fabbrica attraverso forme di lavoro flessibile, introducendo nuove tecnologie come i robot informatici, riducendo la mano d'opera, esternalizzando le funzioni e centralizzando il potere. Su scala sociale questo si è tradotto nella riduzione del potere degli stati e nella privatizzazione di intere aree della produzione e dei servizi. Queste sono le politiche portate avanti dal Consenso di Washington che sono state chiamate neoliberismo. Una delle caratteristiche peculiari del nuovo modello di produzione è che converte tutte le funzioni sociali in parte (elementi) della catena produttiva: si può dire che tutta la società comincia a funzionare con la logica della fabbrica visto che il nuovo modello produttivo si espande al complesso della società. Qualcosa di simile succede con la guerra. Nel 2002 c'erano nel mondo 43 conflitti, uno solo era un guerra "classica" tra stati sovrani: "le ‘vecchie guerre' condotte da stati nazionali, sovrani, e regolate dal diritto pubblico internazionale vengono sostituite con le ‘nuove guerre' portate avanti da diversi attori non statali e senza nessun tipo di regolamentazione legale". In molti paesi africani la guerra ha smesso di essere l'interruzione violenta della vita quotidiana per trasformarsi "in un economia regolata secondo sue proprie leggi e orientata alla riproduzione di se stessa" (2). L'idea di fondo, secondo Robert Kurz, è di tenere a distanza le enormi masse di "esuberi" affinché non interferiscano con la riproduzione del sistema, attraverso la militarizzazione dei flussi migratori e dei settori sociali emarginati. Secondo un altro specialista della privatizzazione della guerra, Dario Azzellini, questo processo è iniziato con la sconfitta degli Stati uniti in Vietnam. "Stiamo tornando a qualcosa di simile all'economia delle enclavi del periodo coloniale. Non si tratta più di controllo del territorio né dell'imposizione di un modello di società: ormai le forze militari controllano solo in punti economicamente interessanti" (dove lo dice?).

ESERCITI MERCENARI Esiste una relazione sempre più stretta tra gli eserciti statali e le imprese multinazionali, visto che gli eserciti privati lavorano per entrambi. Alcune imprese, come la celebre Halliburton, sono proprietarie di eserciti e ci sono imprese militari che possiedono azioni di imprese private, come nel caso di imprese minerarie in alcuni paesi dell'Africa. La creazione delle imprese militari private (cmp - sigla inglese) permette di eludere qualunque controllo democratico. "Se gli Stati uniti inviano 600 soldati in Colombia la decisione deve passare dal Congresso. Ma se chi invia i soldati è un'impresa privata, sulla base di un contratto firmato dal pentagono, il parlamento non è chiamato a esprimersi e non viene neppure informato della cosa", spiega Azzellini. Secondo gli esperti esistono tre titpi di cmp: quelle che intervengono direttamente nel campo di battaglia, quelle che forniscono consulenza militare e addestramento senza combattere e infine quelle che offrono solo logistica, appoggio tecnico e trasporti. In Iraq operano tutti e tre i tipi. In America latina per il momento sono presenti solo due dei tre tipi. Ma nel continente tutti i programmi antinarcotici e le stazioni radar sotto controllo del Comando sud sono gestite da impiegati delle imprese private. In Colombia sono morti negli ultimi anni otto cittadini statunitensi, ma siccome erano impiegati di imprese private il Pentagono declina ogni responsabilità. La Colombia è il laboratorio delle nuove guerre in America latina. Il congresso degli Stati uniti ha autorizzato lo scorso ottobre l'aumento da 400 a 800 del numero di militari presenti sul suolo colombiano, mentre altri 600 civili sono impiegati da imprese militari private. Il Plan Colombia si appoggia in modo deciso sulle cmp e i risultati sono allarmanti: "il numero dei soldati professionisti è quadruplicato, il numero di elicotteri, aerei spia e consiglieri militari dell'esercito è moltiplicato per venti e il numero totale dei paramilitari che hanno accolto con soddisfazione il piano è passato da 5.000 a 12.500" (3). Questo indica una notevole prossimità nelle attività delle cmp e del Pentagono. James Petras così la riassume: "la vera preoccupazione del Comando sud è che i vicini della Colombia, che stanno soffrendo degli stessi effetti contrari delle politiche neoliberiste si mobilitano politicamente contro la dominazione militare e gli interessi economici Usa". Nella sua opinione si tratta di militarizzazione di un territorio strategico.

IL CASO BRASILE Il Brasile è l'unico paese latinoamericano ad avere un piano strategico di difesa e un impresariato nazionale con interessi definiti. È stato questo settore, appoggiato nel governo Lula, che è riuscito a frenare la messa in moto dell'Alca. Il Brasile come nazione possiede un proprio peso nel mondo (è la decima potenza industriale) e ha una strategia militare autonoma di controllo dell'Amazzonia (la principale riserva naturale e di acqua dolce del mondo). Insomma, ci troviamo di fronte a un grande paese con interessi strategici definiti, una classe dirigente e forze armate con vocazione nazionalista che non sembra disposta a lasciarsi sottomettere da nessuna potenza. Il paese ha sviluppato un'industria militare di punta per assicurare la difesa dei propri interessi. Il Brasile è il quinto esportatore di armi al mondo (se si considera l'Unione europea come un unità): l'impresa aeronautica Embraer è la quarta al mondo, copre la metà del fabbisogno aeronautico del Brasile, produce aerei da combattimento, vigilanza, addestramento e guerra sottomarina. L'industria militare brasiliana ha costruito navi da guerra e attualmente sta costruendo un sottomarino nucleare. Il Brasile è contrario al Plan Colombia a causa della sua posizione strategica nel continente. Durante la IV conferenza dei ministri della Difesa delle Americhe, svoltasi a Manaos nell'ottobre 2000, l'allora presidente Cardoso rifiutò di coinvolgere l'esercito brasiliano nella guerra alla droga come proposto dall'amministrazione Clinton. In risposta al Plan Colombia il Brasile ha messo in marcia il Plan Cobra (dalle iniziali di Colombia e Brasile) per evitare che la guerra in quel paese coinvolgesse l'Amazzonia brasilana, e il Plan Calha Norte per evitare che guerriglieri e trafficanti attraversino la frontiera.UNA FORZA MILITARE Nel 2002 è entrato in funzione il Sivam (sistema di vigilanza amazzonico) annunciato dal Brasile a Eco 92, che tiene sotto controllo tutta la regione: 5 milioni di chilometri quadrati pari al 61% del territorio nazionale, al 30% della biodiversità del pianeta e che ospita il 12% della popolazione brasiliana. Nel 1994 l'appalto del Sivam era stato vinto dal gruppo statunitense Raytheon, in una gara denunciata come fraudolenta. In questo momento le forze armate e il governo Lula sono impegnati a rafforzare il controllo dello stato sull'Amazzonia. Un'ampia indagine giornalistica apparsa sul quotidiano conservatore di Porto Alegre "Zero Hora" nel marzo 2001 illustrava la volontà del Brasile di rafforzare la propria autonomia militare. La tesi di fondo è che gli Stati uniti stiano accerchiando il Brasile: "gli Usa negli ultimi due anni hanno costruito in territorio sudamericano e sulle vicine isole un ‘cordone sanitario' di 20 guarnizioni militari tra basi aeree e radar". Secondo lo studio la relazione tra le forze armate brasiliane e statunitensi è di "non cooperazione", visto che il Brasile non concede basi agli Usa sul suo territorio, non partecipa a manovre congiunte con gli Usa e praticamente non riceve fondi per la lotta al narcotraffico. Di fatto il Brasile possiede oggi "l'unica forza militare dell'America del sud con reale capacità di intervento in altri paesi e divisioni aerotrasportate".

ALLEANZA MILITARE CONTRO L'IMPERO? Fernando Sampaio, rettore della Scuola superiore di geopolitica e strategia, riassume così la visione dominante in Brasile: "è una disputa per l'egemonia regionale. Il Brasile non vuole più essere un satellite della costellazione bellica Usa". E non sembra solo. Il generale argentino Montenegro sottolinea la "profondità e portata raggiunta dalle relazioni tra forze aeree brasiliane e argentine" che stanno sviluppando "sistemi di sicurezza cooperativa per la regione" (4). Le esercitazioni Lazo Fuerte tra i due paesi, iniziate nel 2001, intendono rafforzare "un'alleanza difensiva per far fronte all'invasione di uno dei due paesi"; nel frattempo le forze armate argentine hanno "puntato fortemente sul processo di integrazione con i paesi della regione collaborando decisamente alla creazione di uno spazio di pace duraturo" (5). La presenza di una potenza come il Brasile sta generando due effetti apparentemente contraddittori: è un ostacolo all'egemonia militare e politica Usa nella regione, ma per frenare Washington deve rafforzare il suo apparato militare e le sue alleanze nella regione e nel mondo. Una situazione che può degenerare in una corsa agli armamenti e al militarismo in tutto il continente al di là della volontà degli stessi governi sudamericani.
AMERICA LATINA, SPAZIO IN DISPUTA La strategia di "spalmare" la guerra colombiana sui paesi vicini (Venezuela, Ecuador e Brasile) cercando di destabilizzarli se non si adattano alla strategia tracciata dal Plan Colombia incontra crescenti difficoltà. Dal 2000 si sono registrate rivolte che hanno provocato la caduta del governo in Argentina (dicembre 2001), Bolivia (ottobre 2003 [e giugno 2005, N.d.T]) ed Ecuador (aprile 2005), oltre alle mobilitazioni popolari che hanno sconfitto il colpo di stato contro Chàvez in Venezuela (aprile 2002) e alla vittoria del referendum di conferma del suo mandato (agosto 2004). Oltre al caso venezuelano, i nuovi governi di Lula in Brasile, Kirchner in Argentina, Vàzquez in Uruguay e Palacio in Ecuador stanno rallentando i piani del pentagono. A questo si aggiungono gli "accordi strategici" stilati tra vari paesi della regione. Il più significativo è stato firmato in febbraio tra Brasile e Venezuela, "un nuovo asse geopolitico continentale, un severo schiaffo per Bush e il maggior isolamento della storia di Washington" nella regione (6). Gli accordi firmati vanno dall'integrazione economica alla cooperazione militare, passando per investimenti congiunti in materia di energia e petrolio, la costruzione di strade e ponti: Chàvez già è isolato e il Brasile ha in questo momento in mano l'iniziativa nella regione.

CAMBIANO GLI ESERCITI Rosedo Fraga, direttore del Centro argentino di studi per una nuova maggioranza, sottolinea che la globalizzazione "ha rappresentato una profonda crisi per i militari, visto che l'esistenza e la ragion d'essere delle forze armate si rapportano strettamente con l'esistenza dello stato nazionale" (7). A partire da questo riconosce alcuni cambiamenti nei militari argentini, che si ritrovano anche nel resto del continente. "Il nazionalismo e il patriottismo che in passato erano patrimonio simbolico delle destre e delle oligarchie ora sono rappresentate maggiormente dai settori popolari anche della sinistra", assicura Fraga. D'altro canto il deterioramento dei salari rende la carriera militare non più attraente per la classe medio alta e le forze armate reclutano sempre più tra gli strati bassi della società. "I militari hanno perso le relazioni sociali che storicamente avevano con le classi dominanti", aggiunge. Si è ridotta la distanza intellettuale tra ufficiali e sottufficiali, visto che l'istruzione secondaria non è più appannaggio esclusivo dei primi. Inoltre il 70% degli ufficiali argentini ha un secondo lavoro e spesso le mogli dei militari guadagnano più dei mariti. A tutto questo bisogna sommare cambiamenti culturali: "anche nelle famiglie di militari il marito collabora con le faccende domestiche" come succede nelle famiglie di classe media, "fenomeno che si ripete nelle forze armate di altri paesi", assicura Farga. In definitiva, gran parte dei militari latinoamericani ha oggi "salari molto bassi che li livellano ai settori più sfavoriti della società", dunque le forze armate latinoamericane non sono più corpi docili in mano ai potenti locali o a Washington, ma al contrario sono spronate a cercare forme di autonomia strategica, a recuperare il rispetto delle società in cui sono inseriti e ad avere sempre maggior autonomia. Non sono solo le forze armate brasiliane a indicare il cammino. I militari di Ecuador e Venezuela, e forse dell'Argentina, sembrano alla ricerca del proprio spazio nel mondo. In Venezuela sta prendendo piede una nuova dottrina della difesa in cui la popolazione è chiamata a giocare un ruolo importante, incorporandosi alla riserva attiva. Nei prossimi anni la crisi dell'unilateralismo che si insinua ormai in tutti i lati del mondo avrà effetti importanti in Sud America. La crisi del ruolo degli Stati uniti come unica potenza regionale sta provocando tensioni che possono confluire in una corsa agli armamenti e al militarismo, ma più avanti, quando si sia stabilizzata la situazione geopolitica, il multilateralismo potrebbe dimostrarsi la garanzia migliore per una pace duratura.NOTE (1) Mario Augusto Jakobskind, Aprendiendo de Vietnam , Brecha, Montevideo 18-2-2005. (2) Thomas Seibert, El nuevo orden de la guerra. (3) Dario Azzellini, Colombia. Laboratorio experimental para el manejo privado de la guerra , in La privatización de la guerra. (4) Centro studi Nueva Mayoria, 22-12-2004. (5) Centro studi Nueva Mayoria,1-11-2004. (6) Luis Bilbao, Alianza estratégica Brasil-Venezuela , "Le Monde Diplomatique", marzo 2005. (7) Rosendo Fraga, Cambios sociales y función militar, "Le Monde Diplomatique", settembre 2001.

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CUBA / Quando i terroristi sono amici degli Stati Uniti

Cubadebate.cu e CUBAVISION informazioni su Cuba e dintorni

- Il caso Luis Posada Carriles
- il caso dei cinque cubani incarcerati perché hanno denunciato azioni terroristiche contro Cuba.
Le autorità nordamericane hanno riconfermato la doppia morale della loro politica antiterrorista decidendo di non estradare in Venezuela il terrorista Luis Posada Carriles perché potrebbe essere sottoposto a maltrattamenti. Posada Carriles ha un ampio e documentato curriculum di azioni terroristiche che comprende la sua partecipazione a un complotto che distrusse nel 1976 un aeroplano della compagnia Cubana de Aviación in pieno volo, attentato in cui morirono 73 persone. Posada Carriles, nonostante sia riconosciuta la sua attività terroristica è incriminato negli Stati Uniti solo perché entrato illegalmente negli Stati Uniti.Gli Stati Uniti che si dedicano alla tortura sistematica a Guantanamo, ad Abu Grahib, in altre installazioni, che inviano in paesi che notoriamente torturano, sospetti terroristi, che sulla base del patriot act fanno sparire sospetti, sono di colpo diventati garantisti, tra l'altro in relazione a presunti e non dimostrati pericoli di maltrattamento. Non c'è infatti nessuna evidenza che in Venezuela venga praticata la tortura, anzi.Il caso Posada rivela la doppia morale dell'amministrazione Bush nella guerra contro il terrorismo che sta per liberare un terrorista riconosciuto mentre tiene incarcerati i cinque cittadini cubani che hanno denunciato azioni terroristiche contro Cuba. Un giurista italiano chiede l'immediata libertà per i Cinque 27.9 - I cinque cubani lottatori antiterroristi sono vittime della politica degli Stati Uniti contro il loro paese e devono essere liberati immediatamente, ha chiesto oggi a La Habana l'avvocato italiano Fabio Marcelli. A nome dell'Associazione Internazionale dei Giuristi Democratici, Marcelli ha detto a Prensa Latina che solo i condizionamenti politici alla Casa Bianca da parte di organizzazioni anticubane di Miami spiegano il fatto che i Cinque rimangano dietro le sbarre. In qualunque paese civile sarebbero già in libertà dopo l'annullamento del processo e dopo sette anni di prigione, ha indicato. Cuba accusa gli Stati Uniti di ipocrisia contro il terrorismo 29.9 - Cuba ha accusato oggi il Governo degli Stati Uniti di falsità e di ipocrisia nella sua pretesa crociata antiterrorista, dopo la decisione di proteggere Luis Posada Carriles, mentre prolunga l'ingiusta reclusione dei cinque cubani che hanno lottato contro questo male. Con il titolo "Infamia a El Paso. Vendetta a Miami", l'organo ufficiale del Partito Comunista, in un editoriale mette in contrasto il comportamento dell'attuale amministrazione nordamericana sui due casi. Il testo ricorda che due giorni fa a El Paso, in Texas, una portavoce dell'Ufficio di Immigrazione e Controllo della Dogana degli Stati Uniti ha annunciato la decisione emessa dal giudice William L. Abbott di non estradare il terrorista Luis Posada Carriles né in Venezuela né a Cuba. In un'altra bravata, denuncia il testo, ieri in Florida la procura federale nordamericana ha richiesto la revisione della sentenza della Corte d'Appello di Atlanta, che il 9 agosto ha revocato le condanne e che ha ordinato un nuovo processo ai Cinque, come sono noti internazionalmente. Il testo afferma che si tratta di un'altra manovra per perpetuare il sequestro di questi lottatori antiterroristi.

 
 

30.000 desaparecidos argentini "Presentes"

di Manfredo Pavoni Gay - per Selvas.org

Rodolfo Walsch, un grande giornalista e regista argentino, poco prima di sparire nel buio insieme ai trentamila desaparecidos aveva detto ai suoi pochi amici rimasti:«non dimenticatelo mai. Il vero cimitero sarà la memoria». Oggi dopo trent'anni è proprio la memoria e la lotta contro l'oblio che ha tenuto viva la democrazia in Argentina e forse ha contribuito a dare una svolta a questo Paese, di cui la metà dei suoi abitanti è fatta da italiani e italiane che vi sono immigrati. Un Paese, che non vuole dimenticare cosa accadde quel 24 marzo del 1976, quando dopo anni di feroci conflitti sociali, di repressione e di terrorismo di stato, basti pensare alla Triple l'Alleanza Americana Anticomunista, che andava a caccia di operai studenti intellettuali comunisti, una Giunta Militare composta dai generali Jorge Videla, Orlando Agosti e Eduardo Massera, prese il potere. Furono visti soprattutto all'estero, e in particolare in Italia che aveva enormi interessi economici in Argentina, come militari moderati e comunque il male minore al caos che attraversava il Paese.

Si parlò di “Golpe” morbido non come quello che Pinochet aveva fatto 3 anni prima in Cile. Non ci fu nessun assalto nessun bombardamento del Palazzo Presidenziale, nessun arresto di massa, nessuna esecuzione. Mentre il golpe cileno colpiva come un pugno nello stomaco l'immaginario collettivo, in Argentina si trattava di un golpe di destra contro un governo di destra. Uno dei tanti “golpes” che accadevano in sudamerica. In poco tempo il Piano di Riorganizzazione Nazionale, lo avevano chiamato così il processo repressivo, divise il Paese in 5 zone militari, in ogni zona vennero creati centri clandestini di detenzione e squadre composte da civili e militari cominciavano a sequestrare le persone. All'inizio presero i militanti politici, poi studenti, assistenti sociali preti delle comunità di base sindacalisti, maestri e perfino soldati che avevano manifestato idee progressiste. Le persone venivano torturate brutalmente, alcuni cedevano e facevano dei nomi magari di conoscenti vicini, e l'Argentina si riempì di prigioni, piccole Auschwitz dove vennero sequestrate torturate e uccise più di trentamila persone. Un'intera generazione venne eliminata per combattere una manciata di guerriglieri. I macellai della giunta militare hanno il merito di aver coniato una nuova parola al dizionario argentino:”desaparecidos.

Tango, empanadas e desaparecidos disse un giorno Borges, parlando dell'Argentina. I capi della giunta militare,tutti inscritti alla loggia massonica della P.2 e amici di Licio Gelli che in Argentina viaggiava con passaporto diplomatico, avevano imparato dalla esperienza cilena che non si dovessero fare prigionieri, riempire gli stadi le carceri, piuttosto occultare, sottrarre per non disturbare gli investitori stranieri e l'opinione pubblica occidentale. Così le persone cominciarono a sparire e i parenti non sapevano davvero cosa gli fosse accaduto. Nei commissariati cominciavano ad arrivare le mamme di questi giovani e i militari gli rispondevano che forse erano fuggiti all'estero o con la fidanzata e ogni giorno il numero dei desaparecidos aumentava. Le sparizioni miravano a gettare la società civile nel terrore e nella confusione. L'obiettivo era non solo sopprimere il corpo delle vittime, ma cancellarne l'identità i ricordi. Le squadre militari che sequestravano i ragazzi e le ragazze argentine rubavano anche le loro cose, i libri, i mobili, le case, e purtroppo anche i figli e le figlie che spesso venivano cresciuti dagli assassini dei loro genitori o venduti a famiglie di amici.
Così i genitori di quei ragazzi oltre a non avere una corpo su cui piangere la morte dei propri figli, non potevano nemmeno avere la possibilità di conoscerne i nipoti. Dove sono di desaparecidos? “Donde estan?” Molti furono gettati in mare dagli aerei dei militari o sepolti in fosse comuni. In alcuni rari casi si sono ritrovati i resti. Solo un mese fa le Nonne di Plaza de Mayo hanno annunciato alla stampa il ritrovamento del 82° nipote figlio di desaprecidos. Si chiama Sebastian, la mamma di origine italiana, si chiamava Adriana Tasca.

La storia e il ricordo dei desaparecidos oggi sopravvive negli “Hijos” un grande movimento che lotta per il castigo dei militari contro l'oblio e il perdono. Sono loro che hanno la Memoria, ai macellai della giunta militare resta il cimitero.

Foto di Gaspar e Adriana genitori di Sebastian

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